ChatGPT può ridurre la solitudine, ma un uso prolungato può causare isolamento e dipendenza: ecco cosa dicono OpenAI e MIT Media Lab.
Non ci siamo ancora curati dalla dipendenza da smartphone e social media, e già dobbiamo preoccuparci di una nuova assuefazione, quella ai chatbot di intelligenza artificiale.
In due recenti studi, OpenAI e MIT Media Lab hanno esplorato le interazioni tra gli utenti e ChatGPT, e hanno concluso che le persone che ne fanno un grande uso possono sviluppare dipendenza emotiva e solitudine.
Che valore hanno questi risultati? Cosa hanno scoperto esattamente i ricercatori e come possiamo applicare queste nuove conoscenze alla nostra vita quotidiana? Ne parliamo in questo post sulla dipendenza emotiva da ChatGPT. Buona lettura!
Uso e dipendenza da ChatGPT
L’interazione con i chatbot come ChatGPT non è più solo una questione tecnica. Sempre più persone si ritrovano a conversare quotidianamente con l’AI, per motivi di lavoro e di studio, ma anche per noia e per voglia di compagnia.
La capacità di rispondere con empatia (una novità di OpenAI), l’accessibilità 24 ore su 24 e l’assenza di giudizio trasformano ChatGPT in qualcosa di più di uno strumento: diventa un interlocutore familiare, una persona che apprezza i tuoi sforzi, minimizza i problemi e non ti dice mai di no.
Ma cosa succede quando questa familiarità valica il confine della dipendenza? Quando comincia a creare un disagio o una sofferenza vera e propria nell’utente?
Se lo sono chiesti OpenAI, sviluppatore di ChatGPT, e MIT Media Lab – una divisione dell’iconico istituto universitario americano – che hanno condotto due studi per capire quali sono gli effetti di un uso intensivo di ChatGPT sulle risposte emozionali, sull’attaccamento emotivo e sulla percezione del chatbot AI.
Semplificando: chi fa un uso intensivo dei chatbot rischia di provare un senso di solitudine maggiore o sviluppare dipendenza emotiva.
Gli studi di OpenAI e MIT Media Lab
In primo luogo, hanno raccolto e analizzato i dati di 40 milioni di interazioni con ChatGPT. Poi hanno chiesto a circa 4000 persone che avevano avuto quelle interazioni come si erano sentite, e infine hanno intervistato 1000 persone con un trial controllato randomizzato, dopo averle seguite per 4 settimane.
Alla fine dell’esperimento, i partecipanti hanno risposto a un questionario per misurare la loro percezione di ChatGPT, i loro sentimenti soggettivi di solitudine, i loro livelli di impegno sociale, la loro dipendenza emotiva dal chatbot e la loro sensazione che il proprio uso fosse problematico.
Vediamo i risultati principali:
- Innanzitutto, solo una piccolissima parte degli intervistati ha dimostrato connotazioni emotive durante le interazioni, sia vocali che scritte. La maggior parte degli utenti utilizza ChatGPT per quello che è: uno strumento digitale.
- Le persone che avevano la tendenza a trattare ChatGPT come un amico o un compagno, e quindi ad avere conversazioni su temi personali, hanno riportato i livelli di solitudine e dipendenza più alti.
- L’interazione vocale ha un effetto iniziale di aumento del benessere e di riduzione della solitudine.
- Questo effetto si inverte nel momento in cui l’interazione diventa frequente e lunga.
- Tipologia di conversazione e benessere: le conversazioni su temi personali sono state collegate a un aumento della solitudine, mentre quelle su argomenti non personali tendono a incrementare la dipendenza emotiva.
- Fattori personali determinanti: caratteristiche individuali, come il bisogno emotivo, la fiducia nell’AI e la durata complessiva dell’utilizzo, influenzano significativamente l’impatto di ChatGPT sul benessere emotivo dell’utente. Un utilizzo quotidiano prolungato è stato spesso associato a esiti negativi.
Questi risultati evidenziano la complessità della relazione tra questa nuova tecnologia, i casi d’uso attuali e le risposte emotive e psicologiche delle persone. Non ci sono, almeno per ora, relazioni causali dirette e sono invece molti i fattori che incidono sull’esito psicologico dell’uso di ChatGPT.
Volendo sintetizzare al massimo: chi fa un uso intensivo dei chatbot come ChatGPT rischia di provare un senso di solitudine maggiore o sviluppare una certa dipendenza emotiva, sia nelle chat vocali che scritte.
Ricordiamo però che dipendenza non significa necessariamente patologia: siamo dipendenti da moltissime tecnologie, come internet, l’elettricità o l’acqua corrente, ma finché la loro presenza (o assenza) non crea sofferenza, non siamo di fronte a un problema vero e proprio, almeno come viene inteso dalla psichiatria moderna.
Nel complesso, si tratta di due studi interessanti, ma a cui dovranno seguirne altri più approfonditi, specializzati ed estesi nel tempo e nella popolazione di riferimento.
LEGGI ANCHE: Cos’è Vitruvian 1, il primo modello di AI made in Italy
Come gestire il rapporto con chatbot e nuove tecnologie
La dipendenza dalle tecnologie digitali, in particolare da internet e smartphone, è un fenomeno in crescita che coinvolge una vasta fascia della popolazione, soprattutto tra i più giovani.
Secondo uno studio promosso dal Dipartimento Politiche Antidroga e dal Centro Nazionale Dipendenze dell’Istituto Superiore di Sanità del 2023, almeno 700.000 adolescenti italiani risultano dipendenti da web, social media e videogiochi. Circa 100.000 di essi, inoltre, fanno un uso compulsivo di piattaforme come TikTok e Instagram.
Vediamo allora alcuni consigli per gestire in modo sano il nostro rapporto con ChatGPT:
- Osserva il tuo stato d’animo quando non utilizzi il chatbot. Se provi ansia, irrequietezza o tristezza quando non puoi usare ChatGPT o altri chatbot, potrebbe essere un segnale di allarme.
- Chiediti perché lo usi. Non c’è niente di male a usare il digitale per svagarsi o ammazzare la noia in un determinato momento, ma è importante notare se iniziamo a usarlo per sentirci meno soli e per ottenere “calore umano”.
- Controlla il tempo di utilizzo. Usa un’app di benessere digitale per vedere quanto lo usi durante il giorno. Se il tempo tende ad aumentare, è un segnale da non sottovalutare.
- Fissa dei momenti offline durante il giorno. Una buona strategia è avere dei momenti fissi di disconnessione completa, in cui non prendiamo neanche in mano il telefono (se non per rispondere a una chiamata).
- Valuta l’impatto sulle relazioni interpersonali. Negli ultimi tempi, hai trascurato gli amici o il tuo partner per passare più tempo parlando con il chatbot? Quello potrebbe essere un campanello di allarme.
- Rifletti sul tuo livello di controllo. Valuta onestamente quanto ti senti in grado di controllare e interrompere l’uso di chatbot e altre tecnologie, come lo scroll dei feed social.
- Chiedi un parere esterno. Se hai dei dubbi o se da qualche tempo ti preoccupa il rapporto che hai con i media digitali e i chatbot AI, ricorda che non c’è niente di male nel chiedere un parere a un esperto. A volte il punto di vista esterno di un professionista ci aiuta a identificare rapidamente un problema e correggerlo.
Dobbiamo iniziare a pensare al rapporto con le tecnologie come una dimensione importante e seria della nostra vita, non solo come una relazione meccanica con un qualsiasi altro oggetto.
In questo modo è possibile sfruttarne i lati positivi e limitarne quelli negativi – che purtroppo esistono – soprattutto nel caso delle tecnologie emergenti come i chatbot di AI, che sono ancora poco studiati e conosciuti.
L’interazione vocale ha un effetto iniziale di aumento del benessere e di riduzione della solitudine, che però si inverte quando l’uso aumenta e diventa intensivo.
In questo articolo abbiamo parlato delle ricerche di OpenAI e MIT Media Lab sugli effetti di ChatGPT sulle persone, e abbiamo scoperto che anche se inizialmente possono ridurre la solitudine, un uso intensivo e prolungato può causare isolamento e dipendenza emotiva, a scapito delle attività offline e altre modalità di interazione sociale.
E tu, cosa ne pensi? Quanto e come usi il tuo chatbot AI preferito? Lo tratti come una persona quando ci parli? Faccelo sapere nei commenti!
CONTINUA A LEGGERE: Generazioni a confronto: chi è più vulnerabile online?
Buona navigazione e buon utilizzo di ChatGPT!