Immuni e le altre app non stanno dando risultati, e ci sarebbe un altro modo per utilizzarle e frenare la pandemia di Covid-19.
I dati parlano chiaro, le app di contact tracing in Europa sono un fiasco. Per ora, in Italia Immuni è stata scaricata solo dal 12% della popolazione (circa 4,6 milioni di italiani in data 3 agosto), e ciò non significa che tutte queste persone la utilizzino e la tengano attivata. Negli altri paesi, le percentuali sono simili se non peggiori, vedi la Francia con un misero 4% di utenti. Cos’è andato storto? Che alternative abbiamo?
Proprio in questi ultimi tempi, alla luce dei primi risultati non soddisfacenti delle app di contact tracing, alcuni studiosi di epidemiologia e scienze dei dati hanno espresso dei dubbi sul modello implementato finora. Alcuni, come lo scienziato greco Drakopolous, credono che bisognerebbe passare all’analisi in tempo reale dei dati aggregati.
In questo articolo vedremo di cosa si tratta e perché potrebbe essere un’alternativa efficace alle app come Immuni, di cui analizzeremo i limiti attuali.
Perché Immuni non funziona come dovrebbe
Il problema principale delle app di contact tracing è che per essere efficaci, dovrebbero essere utilizzate attivamente da una grande fetta della popolazione, mentre attualmente le usano solo poche persone. A luglio, il Ministero della Salute ha dichiarato che solo 46 persone positive al Covid-19 l’hanno segnalato tramite Immuni, ovvero pochissime.
Questa, però, non è l’unica difficoltà posta da queste app di tracciamento, ci sono anche i tanti falsi positivi e negativi dovuti all’imprecisione della tecnologia Bluetooth su vari dispositivi. Ma soprattutto, secondo la parte della comunità scientifica a cui accennavamo, il problema di queste app è concettuale: sono progettate per creare una rete di segnalazioni e feedback tra soggettivi positivi e potenziali esposizioni al virus, mentre ci sono altri modelli possibili che consentirebbero un controllo migliore della diffusione del Covid-19.
Il modello di contenimento basato su dati e AI
Chi non è d’accordo con la direzione presa dai governi relativamente al contact tracing sostiene che invece di puntare sul rilevamento dei casi attivi e la comunicazione personale da parte degli infetti, bisogna passare a un modello basato sul big data.
In pratica, le app di tracciamento dei contatti potrebbero essere molto più utili se impiegate per raccogliere dati anonimi da aggregare e utilizzare per creare modelli statistici. Con queste funzioni rese possibili dall’intelligenza artificiale, si potrebbero fare cose come:
- Individuare le zone più problematiche.
- Creare politiche di chiusura/apertura su scala molto più ridotta, con un grande miglioramento della qualità di vita per molte persone.
- Condurre un’analisi parallela delle attività a rischio che creano focolai.
- Proteggere la privacy degli utenti (i dati sarebbero aggregati e non identificabili), il che porterebbe a una maggiore adozione dell’app da parte della popolazione.
- Prendere decisioni basate su grandi volumi di dati in tempo reale, quindi aggiornatissimi.
- Condividere i dati tra diversi paesi per creare modelli statistici ancora più precisi e affidabili (più è numeroso il campione, meglio è).
Il grande vantaggio del contact tracing basato sui dati
Come abbiamo accennato nell’elenco precedente, uno dei grandi vantaggi di questo modello di tracciamento è che utilizzerebbe dati aggregati, per cui non riconducibili alle singole persone. In questo modo, si potrebbe ottenere un risultato positivo duplice. Da un lato, il numero di utenti aumenterebbe, perché includerebbe le persone preoccupate per la riservatezza dei dati e quelle che non sanno o non vogliono usare l’app in modo attivo. Dall’altro, per ottenere dati utilizzabili non sarebbe più necessario raggiungere un tasso di adozione dell’app del 60% – come sostengono alcuni studiosi – mentre un 20% sarebbe più che sufficiente. Inoltre, nel caso di parti della popolazione sottorappresentate, basterebbe condurre campagne informative mirate invece di doversi rivolgere nuovamente a tutta la nazione.
Le due tecnologie non sarebbero incompatibili tra loro, ma potrebbero convivere nella stessa app o dispositivo traendo beneficio l’una dall’altra: si raccoglierebbero grandi volumi di dati che aiuterebbero le autorità a comprendere meglio la diffusione della pandemia, mentre il tracciamento mediante Bluetooth continuerebbe a funzionare, avvisando eventuali soggetti positivi.
Ritardi legislativi e battaglie etiche
Le misure restrittive prese dai paesi di tutto il mondo per combattere la pandemia di Covid-19 hanno fatto discutere e diviso l’opinione pubblica. Se da un lato è necessario lottare contro la diffusione di questa pericolosa malattia, dall’altro bisogna anche proteggere la privacy e la libertà delle persone.
Le democrazie più o meno avanzate di tutto il mondo si trovano attualmente a dura prova, perché le decisioni che vengono prese in questi mesi indicheranno la rotta per i prossimi anni. Ad esempio, su che scala bisogna concedere l’autonomia legislativa, nazionale, regionale, provinciale o addirittura municipale? Fino a che punto il governo ha diritto a limitare le libertà fondamentali dell’individuo e a farlo con procedimenti legislativi accelerati, come i decreti legge?
Queste sono solo due delle tante domande e dubbi sollevati dalle app di tracciamento dei contatti, che come abbiamo visto si stanno dimostrando poco utili. Nei prossimi mesi assisteremo probabilmente a nuovi esperimenti sociali e tecnologici, che daranno alla comunità scientifica le basi per decidere come procedere.
Una cosa è certa, serve la collaborazione di tutti, indipendentemente dalle tecnologie scelte. A questo proposito, a chi ha dei dubbi sulla sicurezza delle app di contact tracing e del proprio telefono in generale consigliamo di scaricare Panda Dome, il software di cybersicurezza per Android che ti aiuta a proteggere i tuoi dati e le tue app.
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