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Il fact checking sui social funziona davvero?

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Scopri perché Meta ha sospeso il programma su Facebook e Instagram, i limiti del fact checking e le alternative che potrebbero contrastare le fake news.

Il 7 gennaio, Meta ha annunciato la sospensione del programma di fact checking su Facebook e Instagram negli Stati Uniti (mentre rimarrà attivo negli altri paesi, tra cui l’Italia).

Il sistema di verifica di notizie e fonti si basa sul lavoro di partner esterni, che selezionano, analizzano ed eventualmente confermano o correggono le fake news. Zuckerberg ha dichiarato che questo programma è stato sospeso perché non è efficace.

È davvero così? Cosa funziona e cosa, invece, non funziona nel fact checking online, soprattutto sui social? Quali alternative ci sono e come si preannuncia il futuro del fact checking? In questo post rispondiamo a tutte queste domande, per capire meglio se può davvero contrastare le fake news e cambiare le convinzioni delle persone. Buona lettura!

Meta sospende il programma di fact checking su Facebook e Instagram negli USA perché non lo considera efficace, e al suo posto introduce le community note.

Come funziona il fact checking sui social

Il programma di verifica di notizie e fonti è stato lanciato nel 2016, dopo la vittoria di Trump alle presidenziali degli Stati Uniti, in cui si disse che le fake news avevano avuto un ruolo fondamentale nel convincere l’elettorato indeciso.

Il modello si basava, e si basa tuttora negli altri paesi in cui è ancora attivo, sul lavoro di società indipendenti. In ogni paese ce n’è una, ad esempio in Italia se ne occupa Facta. Queste organizzazioni fanno capo alla International Fact-Checking Network (IFCN), un’iniziativa del Poynter Institute, che promuove un giornalismo utile e responsabile.

I partner di Meta per il fact-checking si occupano di:

L’obiettivo, quindi, è contrassegnare i contenuti falsi o fuorvianti ma senza censurarli. Il problema è che, a distanza di anni, sono stati fatti vari studi e si è capito che questo sistema non funziona molto bene, per vari motivi che vedremo a breve.

Il fact checking funziona? Cosa dicono gli studi?

Premettiamo che non è facile misurare e valutare gli effetti di un programma di questo tipo, innanzitutto per l’enorme quantità di contenuti che viene pubblicata ogni giorno online, ma soprattutto perché l’informazione e le opinioni delle persone sono sistemi complessi, a cui partecipano moltissimi processi ed elementi.

Da questo punto di vista, il fact checking ha sicuramente una funziona positiva, perché migliora la conoscenza delle persone, sensibilizza sulla veridicità delle notizie che leggiamo ed esercita una pressione positiva sui media e sui personaggi pubblici a condividere informazioni veritiere.

Purtroppo, però, come segnalato da Zuckerberg e dimostrato da vari studi scientifici in materia, il fact checking ha dimostrato di avere alcuni limiti importanti:

Inoltre, vari studi di psicologia sociale dimostrano che il fact checking da solo ha un impatto molto limitato sulle credenze e sui comportamenti delle persone.

I programmi di fact checking sono utili – anche se non efficaci al 100% – per cui non vanno rimossi o sostituiti, ma integrati con altre pratiche.

Il futuro del fact checking

Meta ha sostituito il modello basato su partner esterni con un altro strumento, già utilizzato su X: le community note. In pratica, gli utenti con un profilo più alto possono “correggere” i contenuti pubblicando delle note che aggiungono contesto o modificano le informazioni.

Si tratta di un sistema collaborativo dall’aria democratica e partecipativa, ma nella pratica secondo noi ha due grossi problemi: è a rischio di manipolazione da gruppi organizzati (il cosiddetto fenomeno del brigading) e le correzioni arrivano spesso troppo tardi, quando i contenuti sono già virali e hanno già avuto un impatto sulle opinioni delle persone.

Ma allora, se anche i nuovi modelli di fact checking non sono efficaci, cosa si può fare?

Oltre il fact checking: l’educazione degli utenti

Dal nostro punto di vista, i programmi di fact checking esterni sono utili, anche se non sono efficaci al 100%, per questo non crediamo che vadano rimossi o sostituiti, ma integrati con altre pratiche che ne colmano le lacune e ne potenziano gli effetti.

Il fact checking è solo uno dei pezzi del puzzle: dovrebbe essere una pratica intrinseca ai media (online e offline) e l’esistenza di organizzazioni esterne che si occupano di verificare l’autenticità di informazioni e fonti è sicuramente positiva, perché continua a esercitare pressione su personaggi pubblici, partiti e aziende.

Gli altri due poli del fenomeno, sempre dal nostro punto di vista, dovrebbero essere gli utenti e le tecnologie:

  1. Gli utenti devono sviluppare un pensiero critico e imparare a riconoscere le fake news. L’alfabetizzazione mediatica e funzionale è un problema enorme, ed è necessario promuoverla con tutti i mezzi possibili.
  2. Oggi possiamo utilizzare tecnologie avanzate basate sull’AI per potenziare la ricerca e l’analisi di contenuti virali. A questi possiamo affiancare altri processi decentralizzati (come le community note), ma progettati in modo da essere meno manipolabili.

In conclusione, il fact checking non è morto e non è inutile, è solo meno efficace di quello che pensavamo o speravamo, ma non per questo deve essere abbandonato. Anzi!

È importantissimo avere vari sistemi di segnalazione e riconoscimento dei contenuti falsi, abusivi o fraudolenti, che però inizieranno a funzionare davvero quando l’utente finale avrà un approccio più critico all’informazione online, soprattutto quella che riceve sui social.

E tu, hai mai condiviso una notizia o un post senza averlo verificato, per poi renderti conto che si trattava di una fake news? Che esperienze hai avuto sui social e cosa ne pensi del fact checking? Raccontacelo nei commenti!

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Buona navigazione e buona verifica delle notizie!

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