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Servono più donne nella cybersicurezza

Per superare le nuove sfide del settore bisogna raggiungere la parità: si moltiplicano le iniziative per attirare le donne verso le discipline STEM.

Partiamo da questa citazione delle fondatrici del progetto STEAMiamoci (più avanti vedremo di cosa si tratta): “la diversità di genere è elemento base della crescita sociale e fondamentale per la produttività, la competitività e l’innovazione dell’impresa”. La sottorappresentazione delle donne, ma anche di tante altre categorie, rallenta i progressi e il superamento delle nuove sfide della società digitale.

Ne sono un esempio i cyberattacchi alla pubblica amministrazione degli ultimi mesi, che hanno messo in luce l’importanza della sicurezza informatica nel mondo in cui viviamo. Per questo, il settore ha bisogno della partecipazione di tutte le persone che compongono la nostra variegata società, apportando abilità e punti di vista diversi.

Tuttavia, i dati dimostrano ancora il contrario: solo il 18% degli studenti di corsi di laurea STEM (discipline scientifiche e tecnologiche) sono ragazze. Perché così poche? E cosa si sta facendo a livello pubblico e privato per migliorare queste cifre? Continua a leggere!

Solo il 18% degli studenti di corsi di laurea STEM sono ragazze.

Il problema: la tradizionale divisione tra professioni maschili e femminili

Uno dei grandi pregiudizi da superare è che le donne siano più portate per alcune professioni piuttosto che altre, come la cura di bambini e anziani o le pulizie. Questa suddivisione dei mestieri è frutto di secoli di patriarcato e non ha nessuna base scientifica, e oggi si fa sentire soprattutto nel campo della tecnologia e dell’informatica, che sono ancora appannaggio degli uomini.

Alle ragazze non piace studiare materie STEM, motivo per cui è nato il progetto STEAMiamoci di Assolombarda, che tra le altre cose offre 10 borse di studio alle studentesse più meritevoli. L’obiettivo è colmare il divario e superare il preconcetto per cui la sicurezza informatica, tra le altre competenze, sarebbe un campo esclusivamente maschile o addirittura solo per nerd (altra classificazione discriminatoria).

Le professioni di questo settore sono interessanti, ben remunerate e utili alla società. E se servisse un incentivo in più, “se non cresce l’occupazione femminile, il paese resta fermo” secondo le parole di Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat e fondatrice del Women20 Italia.

Per rimettere in moto l’economia italiana serve (anche) la parità di genere nel lavoro, questo è il concetto. Tuttavia, per ora l’Italia vanta il triste primato di un 48,5% di donne occupate, ultimo posto in Europa con una media del 62%.

Cause e soluzioni

Il motivo principale di questo grande divario tra l’occupazione femminile e maschile in determinati settori è ovviamente la tradizione patriarcale della nostra società. Innanzitutto, molte carriere sono poco compatibili con la cura dei figli e della famiglia, che ancora viene affidata molto di più alle donne che agli uomini.

Poi entra in gioco tutta una serie di stereotipi pericolosi, come “le donne non sono brave nelle attività manuali” o “i calcoli e le materie astratte sono cose da uomini”, che circolano e si consolidano come credenze sociali.

Più nello specifico, il settore della cybersicurezza italiano è rimasto indietro per la scarsa attrattiva che ha sul pubblico femminile. Purtroppo, molte persone pensano ancora che le professioni informatiche siano cose da nerd, in particolare per “uomini nerd”.

“L’integrazione degli sguardi maschili e femminili aiuta a risolvere problemi complessi.”

Niente di più lontano dal vero. Basta guardare ai tanti casi di eccellenza, come alle cyber ladies di Women for security, il cui obiettivo principale è creare una community di professioniste che possa far sentire la propria voce e contribuire con la pragmaticità e la capacità di analisi che contraddistinguono l’universo femminile.

Questa è anche l’opinione di Michele Colajanni, docente di ingegneria informatica all’Università di Bologna. “Tra i miei studenti, solo il 10% è di sesso femminile”, dice Colajanni, “ed è un peccato perché c’è bisogno dello sguardo ampio delle donne, della loro capacità di analisi dei comportamenti. L’integrazione degli sguardi maschili e femminili aiuta a risolvere problemi complessi”.

Per colmare questo gap e iniziare a risolvere il problema, le iniziative si moltiplicano sia nell’ambito pubblico che in quello privato. Abbiamo già parlato delle borse di studio di STEAMiamoci per i corsi di studio STEM. Inoltre, segnaliamo il lancio della sezione italiana della fondazione Women4Cyber (il sito italiano è ancora in costruzione), un’organizzazione non profit con il preciso obiettivo di promuovere la partecipazione delle donne nel campo della cybersicurezza.

E poi ci sono i contributi delle tante professioniste che da anni lavorano già nel settore apportando le proprie competenze, come l’esperta di cybersecurity Carola Frediani con la sua newsletter Guerre di rete, a cui vi consigliamo di iscrivervi.

Conclusioni

La partecipazione femminile è indispensabile per lo sviluppo della cybersicurezza. Siamo ormai in una fase di maturità del settore e per affrontare le sfide presenti e future – soprattutto a livello di cyberattacchi – abbiamo bisogno dei talenti femminili e di una maggiore inclusione delle categorie sottorappresentate.

Parafrasando la citazione con cui abbiamo aperto questo post: la diversità di genere e la pluralità di esperienze sono un vantaggio competitivo enorme ma ancora sottovalutato, e ne avremo davvero bisogno nei prossimi anni per difenderci dai cybercriminali.

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Buona navigazione e buona lotta contro i cyberstereotipi di genere!

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