C’entrano i complessi concetti su cui si basa, il livello di astrazione mentale richiesto e alcune spiegazioni troppo approssimative.
Decoerenza quantistica, qubit, paradosso di Schrödinger, collasso della funzione d’onda… Questi sono solo alcuni dei complicati termini che descrivono le basi teoriche della meccanica e del computing quantistico. È un mondo strano e complicato, e come disse Richard Feynman a proposito della ricerca sull’elettrodinamica quantistica che gli valse il premio più prestigioso del mondo: “se fosse possibile descriverlo con poche frasi, non mi avrebbero dato il Nobel!”
Su Internet si trovano centinaia di articoli, post e video che cercano di spiegare il funzionamento dei computer quantistici. La maggior parte si limita a descriverli in modo generale e utilizza molte metafore per rendere più comprensibili concetti molto astratti.
In definitiva, ci sono due modi per parlare di computing quantistico: utilizzare la terminologia e i concetti tecnici con la padronanza di un esperto oppure rimanere dentro i confini della divulgazione. Tuttavia, i tentativi di semplificare e rendere più comprensibile una materia così difficile hanno creato molte distorsioni ed errori nel tempo, e paradossalmente hanno reso il computing quantistico ancora più difficile da spiegare e capire.
“Se fosse possibile descriverlo con poche frasi, non mi avrebbero dato il Nobel!”
Richard Feynman, Nobel per la fisica nel 1965
Conoscere la fisica quantistica
Per parlare di computer quantistici bisogna conoscere l’alfabeto e la grammatica di questa complicata lingua, e chi vuole capire a fondo come funziona un computer quantistico (e non solo cosa produce) deve per forza prendere dimestichezza con i postulati fondamentali della meccanica quantistica e il linguaggio matematico con cui vengono descritti i sistemi quantistici.
Troppo difficile? Effettivamente, per chi non ha almeno un’infarinatura di matematica avanzata può essere davvero frustrante avvicinarsi a definizioni teoriche ed equazioni.
Tuttavia, se anche tu hai visto 20 video di YouTube su “come funziona un computer quantistico” e non l’hai ancora capito, allora ci dispiace dirti che non ti rimangono molte altre opzioni.
I rischi delle semplificazioni
Ora, facciamo un esempio per capire perché le approssimazioni al computing quantistico hanno creato più confusione invece di facilitarne la comprensione. Prendiamo l’unità di informazione minima dei computer quantistici, il cosiddetto qubit o quantum bit.
Il qubit viene spesso descritto mediante un confronto con il bit, ovvero la quantità di informazione minima di un sistema di computing tradizionale e binario. Un bit è l’informazione che può essere memorizzata e veicolata da un transistor e può assumere due stati, 0 o 1, che corrispondono rispettivamente a un circuito elettrico aperto o chiuso.
Gli articoli divulgativi cercano di spiegare il funzionamento dei computer quantistici partendo dal qubit e dicendo che questo può memorizzare non solo i due stati 0 e 1 di un bit ma anche la loro sovrapposizione, ovvero 1 e 0 contemporaneamente. Ebbene, questa è un’approssimazione teorica e non solo non descrive il funzionamento reale di un qubit, ma utilizza anche impropriamente i concetti della meccanica quantistica.
In questo caso, senza entrare troppo nei dettagli, bisognerebbe dire che il qubit può rappresentare tutti gli stadi intermedi che rientrano nell’ampiezza di probabilità che l’informazione sia 0 o 1, che in un sistema quantistico stabile coesistono in maniera sovrapposta. Chi padroneggia queste teorie, può permettersi il lusso di non ricorrere alle semplificazioni eccessive che ormai popolano la narrativa dei mezzi digitali, e solo così è possibile capire che il computing quantistico non ha l’obiettivo di produrre risultati definiti e univoci, 0 o 1, ma piuttosto intervalli di probabilità.
La difficoltà dei modelli quantistici
La fisica quantistica ha una lunga storia ed è il frutto degli apporti di molti scienziati illustri. Ma una cosa che spesso dimentichiamo a proposito di questa disciplina è che produce modelli, non spiegazioni. I principi della meccanica quantistica sono modelli teorici e matematici che consentono agli scienziati del settore di elaborare il campo teorico, ma non spiegano i fenomeni.
La teoria dell’entanglement, ad esempio, prevede che due particelle subatomiche appartenenti a un sistema quantistico siano profondamente correlate e che se queste vengono estratte dal sistema e separate, conserveranno questo legame. Ad esempio, immaginiamo di prendere due elettroni di un atomo che girano su sé stessi nello stesso senso (spin) e portarne uno a 1000 km di distanza dall’altro. Ebbene, se modifichiamo lo spin di uno dei due, cambierà anche l’altro, indipendente dalla distanza che li separa. Ecco, questa teoria descrive un comportamento osservabile in laboratorio, ma nessuno sa perché funzioni così.
I modelli sono oggetti matematici e sono lontanissimi dalla nostra esperienza, per questo è così difficile concepirli mentalmente e metterli in relazione gli uni con gli altri. Tuttavia, questa importante premessa viene spesso tralasciata dai testi divulgativi sul computing quantistico, rendendo inutilizzabili moltissimi articoli.
Il bello della tecnologia è che non c’è bisogno di sapere come funziona per utilizzarla.
I luoghi comuni sul computing quantistico
A causa delle ipersemplificazioni e dell’approccio sbagliato con cui viene abbordato questo argomento, nel tempo si sono creati alcuni falsi miti sui computer quantistici. Questo è dovuto in parte anche ai mezzi di informazione, che prediligono le narrazioni, le classifiche e il sensazionalismo dei grandi numeri. Fare luce su queste interpretazioni sbagliate del computing quantistico ci aiuterà a capirlo meglio:
- Il computing quantistico è la versione avanzata di quello tradizionale. Falso, i computer quantistici sono stati teorizzati per descrivere e studiare l’universo quantistico e non per sostituire i computer tradizionali basati sulla logica binaria. Spesso leggiamo notizie in cui si dice che il computer quantistico di IBM o quello di Google ha eseguito un calcolo che un supercomputer normale avrebbe impiegato migliaia di anni a risolvere (si chiama supremazia quantistica). L’errore sta nel pensare che i computer quantistici servano solo per fare più rapidamente e meglio ciò che stiamo già facendo con quelli “normali”. In realtà, i computer quantistici ci aiuteranno soprattutto a svolgere nuovi compiti e le loro applicazioni più importanti non le abbiamo ancora neanche immaginate.
- Con la potenza di calcolo quantistica, nessun dato o account sarà più al sicuro. Falso, l’utilizzo del computing quantistico applicato alla crittografia presenta vantaggi e svantaggi in parti uguali. Questa disciplina ne uscirà completamente trasformata, nel bene e nel male, e un giorno avremo a disposizione misure di sicurezza personale che faranno sembrare le password attuali uno strumento rozzo e rudimentale.
- Le big tech stanno creando computer quantistici sempre più potenti. Vero a metà, la potenza di un computer quantistico non dipende solo dal numero di qubit, ma soprattutto da come risolve certi problemi specifici del computing quantistico. Inoltre, le rivendicazioni di Google o Microsoft sui progressi in termini di velocità vanno prese con le pinze: si tratta di misurazioni teoriche basate su criteri molto particolari, non certo sull’applicazione a scenari di utilizzo comune.
In generale, quindi, il computing quantistico è così difficile da spiegare perché le approssimazioni non sono sufficienti per descriverne il funzionamento: la maggior parte degli articolisti e dei lettori non è esperta di fisica quantistica, e senza queste competenze l’unica cosa che possiamo fare è capire più o meno che cosa fa un computer quantistico, ma non come funziona.
Un punto di partenza importante verso una migliore comprensione di questa disciplina innovativa è sfatare i falsi miti che si sono già cristallizzati nella cultura mediatica odierna. Dobbiamo dimenticare molte delle cose che sappiamo e avvicinarci con una mente aperta a un mondo che per adesso gli scienziati possono solo simulare e descrivere tramite modelli, ma che non è ancora possibile spiegare.
Se poi tutto questo ci appare eccessivamente difficile e stancante, non c’è problema: il bello della tecnologia è che non c’è bisogno di sapere come funziona per utilizzarla. Siamo abituati a usare tutti i giorni il nostro smartphone, ma pochissimi di noi sanno cosa ci sia dentro e come sia fatto un microprocessore. Lo stesso, un giorno, succederà anche per i computer quantistici.
Buona navigazione e buona scoperta del computing quantistico!